La nomina di Lino Banfi nella commissione italiana dell’Unesco è un gesto di bullismo collettivo. Un gesto che infierisce su un ragazzino che magari studia troppo, e così facendo incide nella vita della classe intera. Non è affatto da sottovalutare, né c’è da scherzarci sopra.

Si badi bene, non è la prima volta che persone che non ti aspetti vengono messe ad occuparsi della cultura in Italia. Anzi. In questo paese, la cultura è stata tanto decantata quanto bistrattata nei decenni, in centinaia di occasioni ruoli di rilievo sono stati affidati a persone in cerca di prestigio, o che avevano bisogno di qualcosa. Perché il pensiero è sempre stato lo stesso: tanto lì, non può fare danni. Di Maio non è stato un marziano nella sostanza della nomina. Ma nell’atto della nomina. Ha tirato un pugno dritto nel mezzo degli occhi del bambino che studiava troppo.

Nonostante un quadro politico che da anni sottostima la cultura e non produce leggi adeguate per i suoi lavoratori (artisti, persone dello spettacolo, operatori, tecnici) ma, anzi, ora rinuncia a farlo (spettacolo) o ritira quelle che ci sono (editoria), una marea di operatori, organizzatori, grandissimi professionisti dell’arte e dello spettacolo, della musica e della letteratura, tengono in piedi il Paese raccogliendo briciole e, spesso, facendone pepite. Questi professionisti vengono metodicamente trattati con superficialità da gran parte della politica e da buonissima parte del mondo dell’economia, ma vanno avanti. Arrabattandosi, senza, o quasi senza, leggi specifiche. Senza idea di un domani.

Anche negli enti pubblici ci sono tante persone che conoscono la situazione e che, a loro volta, fanno salti mortali per far sì che tutto questo porti comunque a un minimo sindacale di rispetto per gli artisti e gli operatori, e di produzione e programmazione culturale. Politici, dirigenti, funzionari consapevoli, e addolorati, che utilizzano tutti gli strumenti a loro disposizione per mantenere la dignità della cultura di un Paese in cui tutti parlano di cultura ed è come se l’avessero ormai fatta.

Nel mio lavoro di assessore, incontro tutte queste persone. Giovani, bravissimi storici dell’arte che fanno le guardie nei musei per una miseria di soldi (e, badate, non c’è niente di male a fare le guardie nei musei, solo che deve pur esserci un “dopo” nell’immaginazione di questi ragazzi). Artisti che devono vendere il proprio talento un tanto al chilo. Gruppi musicali cui ancora la gente chiede di abbassare il prezzo che tanto si divertono anche loro. Masse orchestrali, compagnie, individui solitari. Politici che non ci dormono la notte e cercano di far quadrare tutto. Funzionari che si spezzano metaforicamente il collo per permettere a un progetto di andare avanti.

In questo quadro, accadono per fortuna ogni giorno decine, centinaia di cose belle, perché stiamo parlando di cultura e vita, di bellezza e futuro, perché la cultura ha questa caratteristica, garantisce un futuro anche a una società che ha la sensazione di non averne più.

Ma poi, nella classe un po’ arrabattata, talentuosa ma arrangiata, meticcia, dove c’è – come in tutte le classi – quello che studia di più e quello che lo fa di meno, quello che fuma in bagno e quello che si lamenta – arriva il bullo. Il bullo è uno e trino e dice in un colpo solo tre cose.

La prima la dice Uno: Ho nominato Lino Banfi.

La seconda la dice Due: In mezzo a tutti quei plurilaureati, io porto il sorriso.

La terza la dice Tre: L’Italia è così bella, che può essere rappresentata da chiunque.

Ed è come un colpo al fianco e un uno-due diretto al viso, che schiantano a terra il ragazzino malcapitato. Bum, Bum, Bum.

Vediamo questi colpi al Ralenty, come si diceva una volta.

Il primo: Ho nominato Lino Banfi. Cosa che uno potrebbe fare di soppiatto, ma fa invece con clamore, mentre parla di reddito di cittadinanza. L’umiliazione nei confronti del lavoro della cultura, non solo della cultura, e non me ne voglia Lino Banfi, scelto, è evidente, per ciò che rappresenta. Migliaia di persone competenti che davvero saprebbero cosa fare in un determinato posto sono immediatamente annichilite da questa ostentazione di potere. Ho nominato, infatti, significa: Io Posso Persino Nominare Lino Banfi. Io, con la cultura, Posso Fare Tutto. Ho detto annichiliti, perché chi lavora per questo rimane all’inizio, semplicemente, senza fiato. Un colpo al fianco.

Il secondo: In mezzo a tutti quei plurilaureati, io porto il sorriso. Una dichiarazione che nemmeno la simpatia innata di Banfi riesce a temperare. Perché esattamente la sua generazione, e quella successiva, si sono spaccate la schiena per mandare a studiare i figli, hanno lavorato nei campi, nelle fabbriche, nelle strade, dietro ai tavoli d’ufficio, facendo i doppi turni, nei forni di notte, per permettere ai propri figli di fare l’università e avere, grazie alla laurea, la possibilità di una vita migliore. A tutte queste donne e uomini, un pugno in faccia che spacca i capillari e fa uscire lacrime e sangue. Che roba è? Che significa? Che sin nella loro tomba i nostri antenati si devono raccapricciare perché i loro sforzi non sono valsi a nulla, perché la laurea è ufficialmente una cosa da sfigati? Bum. Dritto nel naso.

Poi arriva il terzo: solleva le spalle e fa: l’Italia è così bella, che può essere rappresentata da chiunque. E questo è il colpo finale, meno potente del secondo, ma assestato contro l’ultimo anelito di riscossa che la vittima stava giusto sentendo. Una frase che non significa nulla. Una frase che annuncia che è inutile reagire, perché in realtà il traguardo i bulli lo hanno già raggiunto, tanto che è assolutamente plausibile pronunciare una frase che letteralmente non significa niente, non vuol dire proprio niente. Niente di niente. L’Italia è così bella, che può essere rappresentata da chiunque è come dire Trentatre Trentini Entrarono a Trento. Niente. Eppure, quella chiude il discorso. Lascia solo una scia di commenti social che non entreranno nella storia.

Io faccio l’assessore alla cultura, al turismo e alle politiche giovanili di un Comune importante del Paese. Vi assicuro che ne sento di tutti i colori. Ma così, mai.

E quindi, quindi mi asciugo il sangue sul naso, e quando l’aula è vuota, mi rialzo, senza fare troppo rumore. Mi risiedo al mio banco, stringo la matita, e ricomincio a studiare, con più grinta di prima. Con uno scopo in più, che è quello di restituire dignità a tutte le persone atterrate da queste forme di bullismo di massa. Solo la cultura ce la può fare, solo la cultura.

Privacy Preference Center