Negli ultimi anni dalle nostre parti alcuni ragazzi hanno iniziato a mettere assieme le proprie capacità e i propri talenti creando compagini capaci di pensare e produrre progetti che includono musica, immagine, grafica, arte, artigianato. Sono ragazzi giovani, che dialogano con altri giovanissimi e con qualche ultraquarantenne. Si tratta di una sorta di evoluzione creativa delle tradizionali crew di djs, e Ancona dimostra ancora una volta di essere una città che ama anticipare i tempi, o discostarsene per creare linguaggi creativi metropolitani, pur non essendo una metropoli.
Naturalmente, queste realtà nascono in ambiti informali, e non è il caso che un’amministrazione se ne faccia un vanto. Per quel che ci riguarda, abbiamo seguito con attenzione, abbiamo parlato, abbiamo sostenuto alcune esperienze in vario modo, convinti che il compito di un’amministrazione, specie quando si parla di giovani, sia quello di considerare tanto l’espressione prettamente istituzionale della cultura (i teatri, i musei e così via) quanto quella più informale e magmatica.
Torniamo alle compagini. Con o senza il sostegno istituzionale, queste fanno strada. Alcuni ragazzi si impongono come dj, alcuni eventi diventano di culto, alcuni artisti emergono, altri no, si creano economie, si lavora.
E’ sempre stato così, nei vari campi della meravigliosa creatività giovanile, e in tutta la storia dell’umanità. Certe situazioni si guadagnano un posto nell’ecosistema giovanile di un territorio e arrivano ad un punto in cui si trovano faccia a faccia con l’istituzione, da cui possono essere ignorate, o riconosciute e responsabilizzate (di solito, quando arrivano a questo punto, qualcun altro intanto inserisce nella fucina creativa della giovinezza altri tizzoni ardenti, ma questa è un’altra storia, ne parlano bene un romanzo di Paul Nizan, La cospirazione, e un po’ meno bene decine di testi di sociologia). Se vengono ignorate, vanno avanti per la loro strada, esauriscono la corsa dopo un po’, qualcuno va a Londra, qualcuno va a Milano, qualcuno si tuffa nel mercato, qualcuno resta e continua finché se la sente (non ho niente in contrario all’espatrio, beninteso: andare fuori ad una certa età è importante, certe volte necessario, ovunque si viva. Ma lo si può fare “fuggendo” e lo si può fare “andando”, ed è molto diverso).
Possono però essere riconosciute (il che è un primo doveroso atto nei confronti di un mondo creativo giovanile che si occupa principalmente di serate e quindi viene confuso nel pentolone della caciare e del disordine fine a se stesso) e soprattutto responsabilizzate: ora che questo fermento è maturato, non teniamolo lontano dalla sfera per così dire istituzionale della creazione e della programmazione culturale della città, anzi mettiamolo in contatto con essa e facciamo in modo che si contaminino a vicenda. Diamogli delle responsabilità, dato che è una precisa richiesta del territorio quella che ci arriva, e nello stesso tempo permettiamogli di maturare ulteriormente cimentandosi in prove che, essendo istituzionali, sono anche più complesse.
Da questo punto di vista, viviamo un’epoca totalmente diversa dalle precedenti, perché si è ridotto il lasso di tempo in cui esperienze creative marginali riescono a divenire centrali, e il linguaggio messo in piedi da questi gruppi di ragazzi arriva presto ad alimentare la musica, l’arte, l’espressività del loro tempo, rispetto a quanto avveniva in passato. Le ragioni immagino siano diverse, tutte interessanti, e materia di sociologi e antropologi molto più ferrati di me. Il dato di fatto è che oggi questi ragazzi sono consapevoli, pronti, in attesa di un segnale di riconoscimento. Il dato di fatto è che sono in grado più di molti altri di afferrare il mood di un periodo, e di un territorio.
Il capodanno 2016 ha segnato una scelta, che, sia chiaro, non è stata una scelta di gusto: nel momento giusto, quando il nostro teatro ha raggiunto la solidità che da anni tutti si aspettavano ed è quindi divenuto il braccio istituzionale dello spettacolo cittadino, e quando le realtà che ho definito informali hanno raggiunto la maturità e la consapevolezza adatte, li abbiamo fatti incontrare. Il teatro è sceso in strada, i ragazzi si sono rapportati con dinamiche che non conoscevano.
Ne è venuta fuori una gran bella serata, di certo migliorabile sotto alcuni aspetti, ma che ha detto che siamo tutti una città che fa linguaggio, fa cultura, fa creazione. E’ l’inizio di un percorso, con un ottimo destino.
Oh beh, naturalmente ci sono mille alternative, che comunque si riducono ad una: ignorare un’importante parte del fermento cittadino e aspettare che i ragazzi se ne vadano (fuggendo, non andando), e portino con sé il talento, e i linguaggi nuovi che solo i giovani sono in grado di creare. Mentre il nostro obiettivo è il contrario, che Ancona sia sempre più la città di questo territorio fatto di piccoli centri, una città aperta ai ragazzi, capace di attirarli e di dargli strumenti per crescere, di dargli voce per davvero, che non significa prestargli il microfono per dire cosa non va, ma fargli fare cosa va.
La serata di capodanno 2016 ha visto di sicuro 2-3000 persone girare in piazza, ma soprattutto ha visto lavorare assieme molte persone che amano Ancona, e si dannano l’anima per dimostrarlo con i fatti. Sarà sempre meglio, lo sappiamo tutti.
Paassessore