Vero: c’è confusione. La confusione dipende da molti fattori, due dei quali fondamentali: il sistema politico nazionale; il concetto di libertà.

Sul sistema politico nazionale, ogni cittadino responsabile può informarsi ampiamente. La sostanza è che viviamo in un federalismo incompleto, che attribuisce allo Stato alcune competenze, alle Regioni altre, ma non del tutto chiaramente. Stato e Regioni vanno in causa continuamente, da anni, perché ognuno ritiene sia suo compito dettare legge (letteralmente) su una cosa o sull’altra. Ora, sarebbe bello se, in una situazione di emergenza, questa conflittualità venisse meno. Ma non accade spesso. Ed eccoci qui.

Sul concetto di libertà, il discorso è anche più ampio, ma – ammettendo di essere un po’ grossolani – si può sintetizzare in: la libertà non è fare come se non ci fosse nessun altro al mondo tranne te. Un messaggio tutto sommato semplice, che però cozza con quello che, da decenni, viene suggerito alle persone da un sistema votato principalmente al consumo. Dunque, difficile cambiare senso di rotta.

Il sistema politico nazionale e la difficoltà di trasmettere il senso proprio della libertà, ricadono sulle città. Accade sempre. Tutti i giorni. Ci siamo abituati. Ma, prima o poi, capita che questo avvenga nel mezzo di una emergenza. E allora, bisogna gestire la situazione. Come?

Punto primo: ammettendo la confusione, e che ognuno se ne faccia carico per la sua parte. Lo Stato; le Regioni; i Comuni; ma anche i cittadini. Infatti, se un cittadino non ritiene di dover uscire dal principio secondo cui “la libertà è fare come se non ci fosse nessun altro al mondo tranne me”, ogni altra cosa diventa inutile. Allora sì: c’è confusione, si fanno sbagli, si potrebbe gestire meglio. Ma serve che ognuno guardi il suo vicino, e non per denunciarlo, ma per preoccuparsi d lui e di se stesso contemporaneamente. Anche per rallentare, e trovare la velocità giusta per tutti.

Punto secondo: regolando la confusione. Una volta appurata la presenza del caos, questo non si aggiusta, ma si governa nella maniera migliore. E si arriva ai provvedimenti concreti, che hanno sempre un grado altissimo di complessità. Ma chi governa, è scelto proprio perché si suppone sia capace di gestire la complessità. Dunque, chi governa un Comune, per essere precisi, deve essere in grado di capire come sia possibile fare le cose a breve, medio e lungo termine, sebbene nell’incertezza che regna sovrana tra chi scrive, giorno dopo giorno, regole a volte contraddittorie. Chi governa un Comune ha la responsabilità di farlo, ma non ha tutti i mezzi a disposizione per mettere in campo la situazione ideale.

Facciamo un esempio concreto. Le spiagge. Posto che una Regione ha deciso di rendere praticabili le spiagge (per le passeggiate, non per stare al sole), un Comune deve gestire la cosa. Sapendo che:

– siamo a maggio, e all’inizio della fase 2. Se qualcosa va storto, ci ritroveremo tutti chiusi in casa ad agosto;

– se ci ritrovassimo tutti chiusi in casa ad agosto, le migliaia di persone che lavorano nelle spiagge, staranno a casa anche negli anni a seguire, perché molti di loro perderanno il lavoro che gli permette di sopravvivere;

– per verificare il giusto utilizzo della spiaggia da parte delle persone, in una bella domenica di maggio, serverebbero all’incirca 10.000 addetti alla sicurezza;

– la maggior parte delle persone ha un alto livello di consapevolezza e di responsabilità, e questo è stato ampiamente dimostrato;

– una minoranza è irresponsabile, ma non per questo non ha il diritto di godere della tutela che gli spetta. Sarebbero tutti bravi a governare un mondo interamente responsabile, diciamocelo;

– nel caso specifico, lasciare a se stesso un irresponsabile (che di per sé sarebbe grave comunque) significa mettere a rischio anche tutti i responsabili, dunque è necessario immaginare uno scenario di possibile mediazione tra le parti.

Poste queste premesse, che valgono per tutti i Comuni (varierebbe solo il numero di addetti alla sicurezza), ogni Comune fa la sua scelta, con responsabilità e, anche, con un certo rancore nei confronti degli Enti sovraordinati, che nel frattempo si divertono a giocare con il suo didietro.

La scelta del Comune di Ancona, ad esempio, e niente affatto presa alla leggera, è stata quella di attuare un progressivo allargamento delle possibilità, che permetta:

– di organizzare, sia pure con i limiti insuperabili di un Comune, al meglio la gestione degli spazi;

– di allontanarsi dal momento di maggior rischio gradualmente;

– di adottare una progressiva e morbida riconquista degli spazi, cercando il più possibile di evitare la calca.

Tra questi punti, il secondo merita una particolare attenzione. Per allontanarsi dal rischio, si intende, infatti, evitare il più possibile che le persone corrano rischi inutili, perché ancora gli ospedali non sono in grado di reggere l’urto di un’utenza uguale a quella pre-Covid. Per capirci: se si riempie di automobili in giro, e ci sono incidenti come prima, gli ospedali rischiano di non farcela. E sono gli ospedali a dover uscire per primi dal tunnel, o ci ucciderà anche una storta alla caviglia.

Dicevo, la scelta del Comune di Ancona è stata quella di procedere con gradualità, anche perché siamo a maggio, e non a luglio. Si è, cioè, ritenuto che la giusta attuazione delle misure di apertura degli spazi che normalmente sono sovraffollati fosse gestibile secondo una crescita progressiva, che prevede:

– una circolazione più diffusa in città a partire dalla data X;

– una frequentazione dei 66 parchi della città a partire dalla data Y, quando in questi ci saranno appositi addetti, apposite segnaletiche, e quanto tutti saremo già usciti di casa da qualche giorno;

– una frequentazione delle spiagge a partire dalla data Z, quando gli esiti dei primi giorni della Fase 2 forniranno alcune indicazioni in più, e quando tutti saremo molto più abituati a muoverci con un significativo spazio vuoto di distanza.

A questo, si aggiunge una ripresa della erogazione dei servizi (da quelli cimiteriali a quelli dedicati alle fragilità etc.), anche questa progressiva, a partire da quelli, fondamentali, alla persona, dal trasporto pubblico secondo criteri differenti e via dicendo, fino ai servizi culturali di cui parlerò diffusamente la prossima settimana.

Ora, come sempre accade nella vita, sono plausibili infiniti scenari differenti. Ma questa è sembrata la scelta più sensata, non perché non ci si fidi delle persone, questo è ingiusto pensarlo, ma perché il compito, a volte, è quello di tenere tutti sulla stessa barca. Chi saprebbe gestire perfettamente l’emergenza, in spiaggia, nei parchi, nelle piazze, deve compiere il sacrificio di rallentare, e aspettare anche chi, da solo, non è in grado di farlo. Altrimenti, la società sarebbe come la scuola che don Milani criticava: un “ospedale che cura i sani e respinge i malati.”

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