Quello che stiamo vivendo ha a che fare con la solidarietà. In particolare, con il riconoscimento di un senso della comunità che non è, necessariamente, stare assieme, ma consapevolezza che è possibile riconoscersi soli e tuttavia essere tanti, e proprio perché soli e tanti è possibile entrare in empatia senza massificarsi. In un suo saggio, Jorge Aleman lo scrive bene: la solitudine è un dato esistenziale, non un nemico. Riconoscersi soli, ci permette di costituire una comunità basata sul sentimento tra solitudini, anziché sull’identificazione.
E soli ci riconosciamo. Soli, tra soli. Dunque, comunità.
Sole sono – ognuno con la sua vita e le sue storie – anche le persone che, in questo momento, si trovano a bordo di una nave da crociera che sta per attraccare al porto di Ancona. La nave ha a bordo alcune persone che stanno male, ed altre che, per fortuna, sono in salute. Esattamente come la nostra città, dove nella stessa via c’è qualcuno che sta male, e qualcuno che sta in salute. Esattamente come in tutto il mondo, dove ci sono persone che devono essere curate, altre che curano, e moltissime altre che – né malati né medici o infermieri o esperti di logistica – saranno felici delle guarigioni, e tristi per eventuali cure dall’esito infausto.
In questo mondo che, ridotto all’osso, sembra addirittura semplice, una quota della società resiste, come può, alla maniera dei branchi di lupi che si aggirano per i villaggi disabitati. Non sono proprio lupi, sono sciacalli. Gli etologi ci dicono che gli sciacalli sono a rischio minimo di estinzione, perché trovano sempre cibo. Ed è così. Si nutrono del male e del dolore, e il male e il dolore sono sempre, ovunque, tanto.
È la parte davvero avvilente della politica e della provincia italiana.
Non ha a che fare con la paura. Gli sciacalli non hanno paura, ma hanno bisogno della paura altrui per poter scorrazzare attraverso i villaggi deserti. Aizzano. Suscitano timori. Talvolta, approfittano di un piccolo seguito per seminare quel po’ di incertezza sufficiente a dare loro campo libero. Qualcuno lo fa perché è il solo modo per essere visto; altri perché vogliono avere un tornaconto economico, politico, di posizione. Altri ancora perché non possono accettare il fatto di non avere nulla di interessante da dire.
Vi sembra strano, vero? Che in una città che ha un porto, un porto importante, attrezzato, un grande porto in un piccolo, trafficato mare, nel mezzo di una pandemia mondiale, ci sia qualcuno che davvero si chiede pubblicamente “perché non sono andati a Canicattì anziché qui?”, o dica “potrebbero andare in un altro porto”, o insinui “faranno di sicuro le cose male.” Vi sembra strano?
Anche a me.
Ma non temiamo: le solitudini che compongono la nostra comunità sono più forti e capaci di solidarietà, cura e amore. Proviamo, come direbbe chi ha fede, a vergognarci per loro, è il massimo della cura che possiamo concedergli.