Faccio fatica a mantenere il distacco da questo libro. Lo ha scritto il mio più caro amico e ho avuto un piccolo assaggio della sua Siria quando sono andato a testimoniare il suo matrimonio a Damasco, in un quartiere che chissà se ancora esiste. Però voglio mantenere il distacco, perché il libro è importante e dovrebbe essere letto sui banchi di scuola, oltre che dalle migliaia di esperti di medio oriente faidate.

Il libro racconta di un insegnante di italiano che nel 2002 decide di partire per andare a lavorare all’Istituto di Cultura di Damasco. Questo insegnante è curioso. In un’epoca in cui la curiosità è un po’ come i capelli rossi, lui sente, vede, ascolta, chiede, studia. Forse perché ha studiato archeologia. Forse per natura.  Lui prima di dire, impara.

Per questo, anzitutto, il diario che scioglie le trecce in questo ebook è prezioso. Senza pregiudizi, ma anche senza buonismi, con la consapevolezza di portare sulle spalle un bagaglio culturale ingombrante e senza l’assurda pretesa di oggettività che rende innocuo qualunque genere di confronto e che coincide, in fondo, con una convinzione malcelata di superiorità, l’insegnante di italiano a Damasco traccia i confini di dispute secolari, osserva metamorfosi politico-militari e descrive l’atmosfera di bar che probabilmente, oggi, non esistono più; le donne siriane con il velo e senza velo, il caffè al kardamomo, l’ospitalità, le feste di matrimonio proibitive e i giovani che se ne sanno disfare, i presidenti e i ministri e i militari, Israele e la Giordania e il Libano, i fori di proiettile sul tetto del mercato e il modo di esistere di persone che fino a qualche anno prima l’insegnante nemmeno immaginava esistessero escono dal libro con spontaneità, filtrati dall’ironia che gli permette, in tempi come questo, di tenere sotto controllo il dolore per vedere distrutto un mondo che ama e ha amato, il mondo che è sempre stato quello di sua moglie e, per qualche tempo, il suo, quello in cui non sa più nemmeno se vivono o non vivono gli amici.

Il libro nasce, credo, dall’urgenza di testimoniare direttamente quello di cui migliaia di persone ritengono di poter parlare, così, solo perché sono intelligenti, magari. Come se le persone intelligenti, solo perché tali, avessero il diritto di parlare di tutto (questo è il dato scabroso d’oggigiorno, non gli stupidi e gli ignoranti che dicono la propria, ma gli intelligenti che – solo per il fatto d’essere intelligenti – si sentono di poter calcare le scene del sapere come in un Talent per megalomani).

L’insegnante è una persona intelligente, e molto intuitiva. Sente le cose. Le percepisce ed è capace di tradurle in un italiano elegante, bello, puntuto.  La sua curiosità lo conduce a girovagare nella cultura di Damasco e della Siria, di un territorio vasto e a noi quasi perfettamente sconosciuto, e a raccontarlo, con un ritmo pacato, musicale, intimo e avvolgente. Dopo aver letto il suo libro, niente è più lo stesso. Questo fa il libro: lo leggiamo, e ne capiamo di più. Non ne sappiamo di più, non è un saggio sociologico o storico. Ne capiamo di più. Le fotografie delle devastazioni, gli articoli molto spesso imbarazzanti dei quotidiani italiani, i servizi in tv, i video, le informazioni sui costumi di popoli dei quali alla maggior parte di noi non frega niente, tutto è diverso dopo la lettura di questo Diario.

Quindi, leggiamolo, a meno che non stiamo bene così, a scrivere che questo è nero, questo è bianco, e ad insultarci attraverso i social pensando che tanto non saremo noi a cambiare il mondo.